Storia sacra di Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno (Pangea)

In Punjab, nel Pakistan settentrionale, Jhelum è una cittadina ombreggiata d’anonimato. Fa caldo, fa 170mila abitanti, e le forme dolci di alcuni templi rievocano l’India, poco lontana; un fiume sfiora le mura, elefantiache vestigia dell’impero Moghul: l’umidità dilaga, con vivacità d’insetti. Un certo vigore ferino resiste negli abitanti di Jhelum: nel 1857 si sono ribellati alla dominazione britannica, facendo fuori qualche decina di soldati di Sua Maestà. Furono costretti alla resa. Molto prima di chiamarsi così, Jhelum era Bucefalia, o meglio, Alessandria Bucefala, la città che Alessandro Magno erige in onore del suo cavallo, Bucefalo. Sull’Idaspe, il fiume da cui si irradia la città, Alessandro aveva vinto, nel 326 a.C., il re Poro. Fu una delle sue vittorie folgoranti: forte di 30mila soldati, riuscì a piegare, in territorio straniero, un esercito di oltre 50mila fanti. Poro combatteva con una cavalleria di elefanti, di cui Plutarco esalta l’intelligenza guerresca. In ogni caso, “Dopo la battaglia contro Poro morì Bucefalo… un poco più tardi, mentre lo curavano per le ferite… Alessandro ne fu molto colpito perché riteneva di aver perso un compagno e amico, e costruì a suo ricordo una città presso l’Idaspe chiamandola Bucefalia”. Riempì la città di un centinaio di macedoni, assuefatti dal palmeto di spade, proni all’esotico.

La storia di Bucefalo è strettamente legata all’impresa di Alessandro Magno, un precipizio fino al genio dell’India. Plutarco racconta la potenza del cavallo portato dalla Tessaglia in dono a Filippo di Macedonia, indomabile. Alessandro, ragazzo, riesce a vincere la ferocia del sauro perché capisce che la bestia vuole correre “contro sole: si agitava, infatti, vedendo le ombre proiettate sul terreno”. Dopo aver domato il cavallo, Filippo “pianse di gioia” e profetizza il futuro del figlio, “Cercati un regno che ti si confaccia: la Macedonia è piccola per te”. Alessandro e Bucefalo, eletti dalla luce frontale, adatti a vincere le ombre, conquistano il mondo, insieme. La morte di Bucefalo, così, coincide con la fine dell’impresa orientale di Alessandro. “La lotta contro Poro aveva reso i Macedoni fiacchi e li trattenne dall’avanzare ulteriormente in India”. Alessandro vuole passare il Gange, ma non c’è modo di convincere i suoi: la storia si ammutina davanti al re, ha il profilo di un manipolo di corazze scoraggiate. I recessi dell’India restano pertanto preclusi al grande re, che “si mosse per andare a vedere l’Oceano”, misurando l’ampiezza del proprio desiderio, e tornare a Babilonia. Privo di Bucefalo, una sorta di istinto di morte, l’erebo del rischio, s’impossessa di Alessandro (“Mancò poco che fosse ucciso presso i Malli, i più bellicosi degli Indi”), pronto ad azioni audaci, per il gusto, che specchiano il caos.

Di Bucefalo, il cavallo-toro, il cavallo-leone, specie di mostro, di Minotauro, divinizzato quanto il suo padrone, dice anche Arriano nell’Anabasi di Alessandro: “Alessandro fondò città. Chiamò l’una Nicea dalla vittoria sugli Indiani, l’altra Bucefala, in ricordo del cavallo Bucefalo, morto là, sfinito per la fatica e l’età, dopo aver condiviso con Alessandro fatiche e rischi, esso che si lasciava montare dal solo Alessandro, di stazza imponente e di cuore generoso. Gli era stato impresso come marchio la testa di un bue, ragione per cui dicono che portasse quel nome; altri invece sostengono che, essendo nero, aveva sulla testa un segno bianco, somigliante alla testa di un bue”.

Nelle Storie di Alessandro Magno Curzio Rufo narra di alcuni persiani, in Ircania, la ‘Terra dei Lupi’, lungo il Caspio, che durante una razzia rubano il cavallo del re. “Sconvolto da una collera e da un dolore più grandi di quanto fosse giusto”, Alessandro ordina che i boschi siano rasi al suolo, finché Bucefalo non gli è restituito. In quel contesto – Bucefalo coincide sempre con le svolte del suo destino regale – il Macedone conosce Talestri, regina delle Amazzoni, e con lei sancisce un patto politico ed erotico: “Più ardente di quella del re, la passione amorosa della donna lo indusse a fermarsi per qualche giorno. Tredici ne vennero consumati per accondiscendere al desiderio di lei”.
Ogni re necessita di un animale analogo, altrettanto regale, che sia il suo riassunto, il punto immutabile, esagerato.  
Anche Curzio Rufo cita Bucefala, “la città dedicata alla memoria del cavallo che aveva perduto”. L’attenzione di Plutarco – sacerdote a Delfi, aveva scritto, tra i tanti, un trattato Sul mangiare carne, e uno Sull’intelligenza degli animali – verso ogni creatura, però, è millimetrica. Di Alessandro, così, registra anche il rapporto “con il cane di nome Perita, da lui allevato e amato, e per cui fece costruire una città che ne ripetesse il nome”. Forse edotto nei misteri della rinascita, Alessandro preferiva la compagnia degli animali a quella degli uomini.
Secondo Franz Kafka, Bucefalo non muore in Pakistan, sulle rive dell’Idaspe. Terminata la guerra, il cavallo si licenzia, per diventare avvocato. “Abbiamo un nuovo avvocato, il dottor Bucefalo. Il suo aspetto esteriore ricorda poco il tempo in cui era ancora il cavallo di battaglia di Alessandro il Macedone. Chi però ha confidenza con certe situazioni, può osservare alcuni particolari…”: così inizia quel racconto, Il nuovo avvocato, scritto nel 1917, che fa parte di Un medico di campagna, la raccolta pubblicata nel 1919 da Kurt Wolff. In quel libro, sono stipati alcuni dei racconti più noti di Kafka: Davanti alla legge, Sciacalli e arabi, Un messaggio dall’imperatore, Una relazione per un’Accademia, ad esempio. In quel caso, Kafka ribalta i piani della storia: Alessandro, infatti, smette di essere Alessandro, ripiegando a Babilonia, quando muore Bucefalo; per K., Bucefalo diventa avvocato perché “Oggi – non lo si può negare – non esiste alcun Alessandro Magno. Ci sono molti che sanno uccidere… ma nessuno, nessuno sa guidare verso l’India”. India e Oceano, per un sovrano occidentale, sono parole che esulano dalla volontà di conquista, dall’idea di potere: assurgono a compito, a poetica, a chiesa nel vento. Morto Alessandro, muore l’idea stessa dell’India come luogo dell’irraggiunto, e si svuota l’Oceano: “molti impugnano le spade, ma solo per agitarle, e lo sguardo che vorrebbe seguirle, si perde”. Che senso ha una spada se può solo ferire, fendere, uccidere, senza indicare, senza spargere la via? Così, Bucefalo s’inabissa nei codici, nella legge. “Libero, senza più sentire sui fianchi i lombi del cavaliere, sotto una quieta lampada, lontano dal clamore della battaglia di Alessandro, egli legge e volta le pagine dei nostri antichi libri”.
La legge domina sull’uomo con presunzione di antichità: una ragione sinistra, chiusa all’interprete, la sigilla. Alessandro ricorda che l’unico codice è la carne, il grido sacro, l’impegno a varcare il Gange e tingere, finalmente, lo zoccolo greco nell’oblio. Bucefalo, il cavallo che fece del suo cavaliere un re, ha siglato una conquista, ne ha impedita un’altra, proponendo l’ulteriore: la cavalcata negli al di là.  

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