Stavo rivedendo un pezzo per questo blog su un libro di Ida Bassignano, “L’Utopia di Luca Ronconi”, in uscita in questi giorni, e oggi, dopo una cruda telefonata, mi trovo a scrivere della sua improvvisa scomparsa.
Regista, drammaturga, scrittrice. Le definizioni diventano troppo riduttive quando si tratta di persone care. In una sola occasione avevamo lavorato insieme, negli anni Ottanta, quando proposi a Ida, come drammaturgo del Teatro Stabile dell’Aquila, la regia di un
Frankenstein di Ugo Leonzio, ma innumerevoli volte ci eravamo ritrovati a lavorare negli studi di radiorai, a pochi metri di distanza, e ancora più intensa era la nostra frequentazione negli anni Settanta, a Roma. È stata una lunga amicizia che la distanza Roma-Torino non ha sbiadito, al contrario: il dialogo, sia pur telefonico, si era fatto più intenso, come se fossimo diventati due voci di una stessa trasmissione radiofonica – ambedue conoscevamo per esperienza la profondità della comunicazione verbale: la radio, insegna Arnheim, è un linguaggio che non ha bisogno dell’immagine, basta usarla nel modo giusto. Anche il telefono, aggiungo, non ha bisogno di altro, basta ascoltare. E con Ida lo usavamo in modo giusto: ci siamo molto parlati e molto ascoltati (avevamo tutti e due un certo buon orecchio).
Mi piace ricordare Ida alla prima di
Molly cara, di cui aveva curato la drammaturgia e la regia, per l’interpretazione di Piera Degli Esposti, a Roma, nel 1978, davanti a un pubblico giustamente osannante. Quello spettacolo era il compimento sontuoso della sua importante collaborazione con Ronconi come regista assistente. “Ho pensato che fosse un’esperienza unica e irripetibile soprattutto oggi in un’epoca di scarsi ardimenti teatrali”, scrive Ida nella sua prefazione a “L’Utopia di Ronconi” che ho letto appena qualche giorno fa. Quegli ardimenti, oggi scarsi, Ida li ha sempre corsi, anche nel suo lavoro radiofonico, quando i tempi stretti di produzione dell’azienda rai imponevano prove molto “pragmatiche” (per usare un eufemismo): si leggeva un paio di volte e subito al microfono per registrare. Ida, naturalmente, smaniava: la sua formazione ronconiana le avrebbe suggerito (imposto) ben altra maturazione; le sue smanie, però, le confidava agli amici: “da fuori”, non si vedeva niente; il risultato testimoniava sempre un’impostazione registica nitida e sempre molto diversa dagli standard un po’ sonnolenti di una radio troppo seduta e compiaciuta.
Di questi argomenti, leggermente maniacali e molto noiosi per i non addetti ai lavori, abbiamo spesso discusso: io teorizzavo (un po’ per vezzo e un po’ perché mi divertivo a provocare) l’oscura bellezza dell’artigianato radiofonico, al che Ida usciva leggermente dai gangheri. Non mi ha mai detto: “Artigiano sarai tu!” perché mi voleva bene, ma forse qualche volta ne ha avuto la tentazione. Per lei, il lavoro o era tensione o non era niente. Tensione e fatica: non solamente la fatica derivante dai budget sempre insufficienti (in rai piangevano sempre miseria per certe trasmissioni “di nicchia”), ma anche la fatica del rincorrere il tempo insufficiente e di scontrarsi con una certa indifferenza aziendale (per fortuna non di tutti, bisogna dirlo). Col tempo, la fatica aveva abbandonato Ida per lasciare il posto alla dimensione più raccolta della scrittura, dalla quale peraltro non si era mai distaccata. Qualche anno fa mi fece leggere un suo libro,
Maria D’Berlòc, col quale ripercorreva la sua vita in Piemonte: una galleria di figure femminili disegnate con una leggerezza attenta e anche un po’ beffarda, un collage di donne che ricordava attrici lontane, parenti sbiadite, ipertrofiche signore di una certa (a volte presunta) buona società verso la quale l’autrice mostrava un rapporto di attrazione/repulsione molto fertile. Ida mi confidava le sue perplessità: “A chi vuoi che interessi questa cosa?”. Fortunatamente vinse le ritrosie e l’editore Iacobelli pubblicò il libro con un buon riscontro. Sull’”Utopia di Ronconi”, invece, Ida non aveva perplessità: essere stata testimone e parte attiva di quello spettacolo memorabile la rassicurava, e poi credo le fosse piaciuto rivisitare quell’esperienza giovanile compiuta “forse anche con un po’ d’incoscienza”, come scrive nella prefazione.
Non ho capito bene se questo libro è uscito. Ne avevo parlato con Ida qualche giorno fa, ma nemmeno lei era sicura sulla data. “Che facciamo?”, ci eravamo chiesti, e avevamo deciso di darne notizia sul blog quando l’uscita fosse stata certa.
Così faremo. Una minuscola consolazione in questo momento triste: non so perché avevo mandato a Ida il mio post in anteprima. Subito dopo me n’ero pentito: le avrei rovinato la piccola sorpresa di leggerlo pubblicato. Invece avevo fatto bene, perché il pezzo le era piaciuto. Senza che lo sapessimo, quelle poche righe erano state il nostro ultimo, reciproco saluto.
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