Una canzonetta sempreverde (1933). Rodolfo De Angelis, Una volta non c’era Mussolini

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https://www.youtube.com/watch?v=xa0FjNVEP8Q

Rodolfo De Angelis è stato un personaggio poliedrico e per certi aspetti sorprendente, Futurista (collaborò anche a qualche manifesto marinettiano), commediografo, ma soprattutto cantautore di impagabile leggerezza. La sua più famosa canzonetta fu Ma cos’è questa crisi,  che inizia con un irridente (ma nei confronti di chi?, viene da chiedersi) “Perepè perepè” rimasto nella storia della nostra musica leggera rappresentò una piccola/grande invenzione. Senza dubbio, De Angelis fu omogeneo al Fascismo, ma la sua ironia finiva una sorta di alone (involontario?) che poteva anche essere scambiato per parodia. Ne è un esempio questa Una volta non c’era Mussolini tanto elogiativa da diventare paradossale. O è un’illusione del nostro orecchio? La canzone mi ricorda un aneddoto su Petrolini che, insignito di non so più quale onorificenza dal Regime, se la appuntò al petto dichiarando solennemente, con la voce di Gastone: “Me ne fregio!”.
Ironie a parte, la canzonetta propone argomenti strettamente attuali, così come affiorano nei dibattiti fangosi da bar e da social.
Ecco il testo, che può aiutare la fruizione dell’audio d’epoca.

ANTIPARLAMENTARISMO. Una volta il Parlamento/ discuteva di sovente/ ma non concludeva niente! /Solamente era dovere/ del compagno battagliero,/ far cadere il Ministero
Una volta… non c’era Mussolini: /”La parola all’onorevole
(Voci dissonanti… Basta… Dimissioni… Farabutti… Mascalzoni… abbasso il Ministero… La seduta è sciolta” )
L’UOMO FORTE FA FUNZIONARE LO STATO. Oggi invece che abbiamo Mussolini:/ “Il decreto legge è approvato all’unanimità…
(Voci festanti: Viva il Duce… viva il Duce… )
CONTRO IL DISORDINE DEGLI SCIOPERI. Una volta scioperare/ era un modo di far festa/ con annessa la protesta./ Scioperavano il tranviere/, l’autista, il ferroviere/ e perfino il panettiere!/ Una volta… non c’era Mussolini: (Tromba che suona la carica della polizia. Rumori di folla) “Scioglietevi!…” )
Oggi invece… che abbiamo Mussolini:
(Tutto funziona. Rumori prodotti da tram, treni ecc.)
CRISI DELLE NASCITE (PER COLPA DELLE DONNE). Una volta molte donne/ agli amati maritini/ non donavano bambini!/ Rinunciavano al sorriso dell’infanzia, /che è la gioia per scansare qualche noia!/ Una volta… non c’era Mussolini:
(Solitario “uè, uè, uè”)
Oggi invece… che abbiamo Mussolini:
(Coro di molti “uè, uè, uè”)
L’ITALIA RISPETTATA ALL’ESTERO. Una volta nei consessi /dei padroni della terra/ si faceva il serra serra./ Per l’Italia mai un posto/ per trattar da pari a pari/ con gli amabili compari./ Una volta… non c’era Mussolini: (Voci di scherno)
Oggi invece… che abbiamo Mussolini:
(Voci di approvazione nei confronti dell’Italia)

Galleria. Pamela e Bert

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Pamela aveva faticato non poco per imporsi ai genitori che avrebbero voluto fare le foto del dopo cerimonia nella villa di famiglia. Che noia i gruppi! Gli sposi con gli zii materni, poi con quelli paterni, poi con gli uni e gli altri insieme. E con i nonni superstiti, con i colleghi e i superiori ai quali il suocero teneva moltissimo perché erano persone influenti. Eccetera. Invece era tanto più bello che lei e Bert si facessero fotografare nel parco, proprio sotto l’albero che era stato il testimone del loro primo bacio. Bello tornare sotto quelle fronde dove era iniziata un’intimità che da oggi sarebbe diventata sempre più stretta. Bert, era perplesso: «Tutti gli alberi sono uguali, come puoi pensare di riconoscere il nostro dopo cinque anni?». Pamela, invece, era certissima e marciava decisa. Era così distratto, il suo Bert! Fortunatamente aveva incontrato lei che avrebbe saputo guidarlo. Sempre. Qualche volta temeva la sua svagatezza, ma si rassicurava pensando che tutti gli uomini hanno sempre la testa immersa nei loro progetti,  nei loro affari… E sorrideva come ogni giovane donna nel più bel giorno della sua vita.

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I pulsanti progettati per non funzionare (Il Post)

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“Il mondo è pieno di pulsanti che non funzionano. Alcuni di questi non funzionano perché hanno smesso di funzionare e non sono mai stati riparati, e va bene così; altri invece non hanno mai funzionato e sono stati concepiti per tranquillizzare chi li usa illudendosi che serva a qualcosa. I pulsanti di questo tipo sono i pulsanti placebo: ce ne sono tra quelli che servono per chiudere prima gli ascensori, per far arrivare il verde quando un pedone deve attraversare la strada e, in modo un po’ diverso, nei termostati di certi uffici e certi alberghi. Sono un po’ come le superstizioni…”
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Galleria. Al bancone

non era cattivo Bertrand

Stavano prendendo tempo tutti e due. Lei cercava una risposta interlocutoria, lui aspettava un cenno, anche piccolo. Apparentemente non era un nodo tanto difficile da sciogliere. Un invito a cena. Formulato in modo discreto, si sarebbe potuto dire quasi elegante, anche se lui era un tipo semplice e niente affatto mondano, lo si vedeva dalla goffaggine con cui continuava a ordinare calici di vino che rimanevano sul bancone. Un invito a cena può voler dire tutto o niente, ma lei sapeva come vanno queste cose e non si fidava: non di lui, di se stessa. Che era rimasta senza lavoro, mentre lui aveva un avviato negozio di cordami ed era in cerca, appunto, di una commessa, una ragazza onesta, capace e desiderosa di far carriera. Diventare cassiera e un domani, perché no?, occuparsi dell’amministrazione.
Una volta era entrata in quel grande negozio tutto di legno; conteneva una miriade di corde d’ogni metraggio e spessore. Anche accanto alla vecchia insegna penzolava una grossa corda con un nodo che la faceva rabbrividire quando ci passava davanti perché assomigliava a un cappio. Ripensandoci, le parve un segno, forse indicava la fine obbligata di una storia che la spaventava e l’attraeva. Una fine necessariamente tragica perché si sa come va a finire quando ci sono troppe corde in giro. Ma il presente aveva una faccia così grigia! E poi non era detto che la testa nel cappio l’avrebbe infilata lei.

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Domenico Starnone, Cosa c’è dietro (Internazionale)

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“È sicuro che certe parole correnti della politica dicono davvero quello che sta succedendo? O le usiamo per spaventarci meno di quanto dovremmo? Cosa c’è, per esempio, dietro sovranismo? Un popolo con la barba bianca e la corona in testa? E dietro populismo?”

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Galleria. La riunione

la riunione

Gli aveva detto:
– Perché non vieni anche tu, mercoledì prossimo? Ci si riunisce, si fanno quattro chiacchiere.
– Ci si riunisce chi?
– Gente che ha voglia di parlare delle cose che succedono. In tempi come questi bisogna stare con quelli che la pensano come te.
– Ma tu cosa ne sai di come la penso io?
– Non mi dirai che la pensi come loro!
– Dipende. Chi sono loro?
– Quei figli di puttana che conosciamo bene tutti e due.
Aveva deciso che era meglio non andare.

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Lynda Dematteo, Marine + Matteo, l’abbraccio populista (Le parole e le cose)

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[Lynda Dematteo è antropologa presso il CNRS francese. Ha scritto il saggio L’idiota in politica. Antropologia della Lega Nord, pubblicato in Italia nel 2011 da Feltrinelli. Questo saggio è apparso sulla rivista francese «Vacarme»]

“Il leader della Lega è populista e fiero di esserlo. Senza complesso alcuno, si è imposto ridefinendo lo stile del partito. Sin dall’inizio ha preso posizione contro il nepotismo del clan Bossi, ciò gli ha permesso in seguito di imporsi alla testa della Lega, quando Maroni venne eletto presidente della Regione Lombardia. Onnipresente su Radio Padania, ha saputo riguadagnare la fiducia dei simpatizzanti, dopo le rivelazioni sul dirottamento dei fondi pubblici versati dallo Stato per le campagne elettorali e sui legami del proprio tesoriere con la mafia calabrese. Con il fine di occupare lo spazio lasciato vacante a destra, si è ispirato alla strategia francese della de-demonizzazione rappresentata da Marine Le Pen. La sua campagna del 2018 è stata segnata da un cambiamento estetico molto marcato: il verde è stato abbandonato a favore del blu della destra europea, al fine di legittimare il suo possibile ruolo governativo. Ha sostituito la felpa «Milano» per un completo blu scuro. Dal 2013, ha cercato di fare della Lega un partito nazionale contro il parere di Umberto Bossi e, come indicato dai manifesti della sua campagna elettorale, mira spudoratamente ad occupare il posto di Silvio Berlusconi: «Salvini Premier»[3]. Si fa chiamare «il Capitano» dai militanti, che nei meeting cantano «c’è solo un capitano»: è ridicolo, ma il mito dell’uomo forte funziona appieno in questi tempi di crisi.”

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Marco Settimini, Il Petrarca allucinato, il Baudelaire padano. Sulla poesia di Antonio Delfini (Pangea)

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“Attenzione, sozzi professionisti fascisti dopo il delitto Matteotti e antifascisti dopo la morte di Mussolini, […] turpi spie del governo fascista (e di tutti i governi), vecchi sporcaccioni cornuti fino al midollo della vostra fronte sfrontata, attenzione, c’è sempre qualcosa (anzi c’è sempre tutto!) che il vostro cervello privo di immaginazione, con la vostra fantasia da elefanti, col vostro cuore ateo, con la vostra cultura inesistente e con quella vostra erudizione, che persino il genio di Manzoni non sarebbe riuscito a percepire, attenzione… c’è sempre qualcosa, per tutti, e anche per voi ci sarà… prima e dopo la morte! […] Voi […] non andrete né in Paradiso né in Purgatorio… qui, in questa terra brucerete, come si brucia all’inferno e poi, dopo, come avete fatto nella vita, non saprete nulla, non soffrirete, avrete un solo ricordo: quello di far schifo ai vivi.”
Parole di fuoco di Antonio Delfini, l’autore più incendiario della letteratura italofona del Novecento, le cui pagine si possono forse riassumere in un distico – “Vorrei tu mi armassi la mano / per incendiare il piano padano” …

Leggi il resto dell’articolo: http://www.pangea.news/il-petrarca-allucinato-il-baudelaire-padano-sulla-poesia-di-antonio-delfini-lautore-piu-incendiario-della-letteratura-italofona-del-novecento/

Galleria. Betty

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Il locale era come tanti altri, ciò che lo rendeva unico era Betty. O meglio: il sorriso di Betty. L’aveva scoperto per caso, una mattina che il Next Door era chiuso per lutto di famiglia. Non gli piacevano i morti, così anche quando il locale riaprì decise di cambiare, per scaramanzia. Fu allora che incontrò Betty. “La sorte”, si disse, e aggiunse: “Qualche volta anche un morto può rendersi utile”. Il sorriso di Betty illuminò la sua vita. Anzi l’abbagliò, tanto che il primo giorno riuscì a balbettare solo “Grazie” quando lei gli porse  un bicchiere luminoso come il suo viso. Il secondo giorno, si preparò a dovere e le chiese:
– Come ti chiami?
– Betty.
– Io mi chiamo Ben.
– Ciao Ben!
Nessuno lo aveva mai guardato così intensamente mentre gli diceva “Ciao Ben”.
La mattina seguente si era fatto trovare davanti al locale mezz’ora prima dell’apertura. Quando Betty era arrivata le aveva sorriso e da dietro i vetri era riuscito anche a vederla mentre s’infilava il grembiule. Era stato il primo cliente. Si disse: “Mi piacerebbe molto essere anche il suo primo uomo”.
– Ciao Ben!
Gli disse Betty mentre gli porgeva il bicchiere.
Ben si disse: “E’ come pensavo. Sono il suo primo uomo”, e rimase a guardare quel sorriso che non calava mai d’intensità. “Come il sole”, si disse, e pensò che Betty l’aveva trasformato in un poeta.
Entrarono nuovi clienti che Betty servì con lo stesso sorriso, Identico.
– Ciao Freddy!
– Ciao Malcolm!
– Ciao Tom!
Dopo Edwin, Gregory, Richard e Alan, decise che si sarebbe fatto forza e che l’avrebbe uccisa. Anche se i morti non gli piacevano.

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Andrea Cortellessa, Primo Levi, descrizione di una battaglia (Le parole e le cose)

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“In un incontro pubblico a Pesaro, nell’86, gli viene chiesto se non sia stanco di condurre quella battaglia senza respiro. Se non avverta il bisogno di una tregua. Ma Levi testardo risponde: «preferisco, entro i miei limiti, combattere: naturalmente non con il mitra, finché è possibile, non con il coltello, combattere con i mezzi democratici di cui siamo fortunatamente provvisti, combattere scrivendo, combattere discutendo.”

Leggi il resto dell’articolo: http://www.leparoleelecose.it/?p=33610

Claudio Magris, Sulla scogliera (Nazione indiana)

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“Una madre redarguisce il figlio, un bambino di quattro o cinque anni che gioca con un’incantevole coetanea — nera come l’ebano, evidentemente adottata dai genitori, due tedeschi che si sono sistemati un po’ più lontano — sparando con una pistola ad acqua e scavalcando di corsa i corpi distesi al sole, per lui non ancora desiderabili o conturbanti. Sgridato, il bambino protesta, dicendo che allora bisogna rimproverare pure la bambina. “Quale bambina?” chiede la madre, che non la vede perché si è nascosta dietro un albero. “Quella che parla che non si capisce niente,” risponde lui, evidentemente colpito dal fatto che la piccola chiami le cose in modo per lui incomprensibile e un po’ arrabbiato di scoprire che esse possano avere altri nomi.”

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