Le figurine di Radiospazio. Maledizione di peccatrice

ATTRICE –  Prima ch’io muoia – fiamme, crudeli fiamme!
ricevete la mia maledizione. Che il tuo letto
di nozze ti torturi il cuore, ti bruci il sangue,
te lo faccia bollire per desiderio di pronta vendetta.
– Povero cuore mio,
la fiamma è intollerabile! – Possa tu vivere
per esser padre di bastardi, che il ventre tuo generi
mostri, e possiate morire insieme, tra i peccati,
odiati, scherniti, maledetti! Oh… oh…
ATTORE  – Visse mai creatura più nefanda?

Il triste destino delle opere d’arte di Lehman Brothers (“Cultora”)

È passata da poco la mezzanotte a New York, il calendario segna la data del 15 settembre 2008; all’interno di una lussuosa stanza d’affari di un grattacielo di vetro e acciaio della Grande Mela, sono riuniti alcuni tra i più importanti personaggi della finanza americana, altri sono collegati in conference call. Quella notte il tempo sembra fare brutti scherzi: un attimo appare veloce e inesorabile, un altro lento e moderato.L’aria che si respira non è delle migliori, le voci si accavallano e si rincorrono, i pensieri sembrano sfuggire ad ogni logica e le carte sui tavoli sembrano rigurgitare solo numeri col segno negativo. Ore 01:45 ad un tratto il tempo si ferma…

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Vigilia del giorno della memoria

https://www.lastampa.it/2019/01/26/cronaca/un-rastrellamento-nazista-al-mercato-di-venaria-BmThRDCb72KeOl2scSVYbK/pagina.html?fbclid=IwAR2NaulIRUhGgosROG27wqlEk7qsGSlaXkjkeX5Wh5HomYaedx4-qOKkQ50

Susanna Turco, Borghesucci, radical-chic, rosiconi: il dizionario di ingiurie e derisioni di Lega e M5S

Dizionarietto che ci portiamo in eredità dall’anno scorso; ci affliggerà anche il prossimo anno?


“Se chi parla male, pensa male (adagio morettiano, a sua volta manifesto di una passata stagione), come parla la maggioranza gialloverde? Come si insulta? E, di conseguenza, che idea ha del mondo? Ecco una rassegna che parte da una affermazione di Beppe Grillo: la convinzione che metà delle persone non capisca quel che ascolta.

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Lorenzo Di Paola, L’arte della scrittura e la vile mercificazione del libro (“Grado Zero”)

“In questo periodo, di enormi rivoluzioni tecnologiche e sociali, masse di illetterati radicate nei nuovi sistemi urbani cercano emozioni e svago nelle fiere, nelle grandi esposizioni, nella letteratura, per occupare quella particolare forma di tempo che oggi chiamiamo tempo libero. “

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Tiziano Scarpa, Benedette parole (Il primo amore)

Di nuovo sul treno 
sabato ventisette ottobre 
alle quattordici e cinquantotto 
Ancora Padova… 
Sembra che io vada sempre negli stessi posti 
ma è solo perché non ho avuto tempo 
di scrivere i resoconti delle ultime settimane 
Così adesso li recupero a memoria 
A memoria o per associazione di idee: 
per esempio la sala 
dove farò il mio recital fra un’ora e mezza

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Galleria. La giocatrice di poker

La cugina Erminia era timida. Ma non in modo patologico, forse le piaceva soltanto stare per conto suo – e poi, a quei tempi la timidezza non era forse lo scrigno impalpabile che custodisce (e in certo modo garantisce) la sensibilità di una fanciulla? Non bisognava dunque ingigantire la cosa, diceva la madre, e scambiare  una virtù per un difetto. Il padre non la pensava così. Era un uomo dalla doppia personalità: di giorno, un austero notaio, di notte, uno di quei fragorosi buontemponi che ammorbano le serate di tutti; gli sarebbe dunque piaciuto che la giovane Erminia gli somigliasse. Predispose quindi per la figlia un programma di graduale socializzazione che prevedeva come primo passo delle innocenti partite a carte tra fanciulle. Presto, Erminia scoprì che con le carte ci sapeva fare e si stancò di quelle sciocchine che giocavano senza impegno mentre parlavano di ragazzi e altre stupidaggini.
Dopo qualche tempo, fece irruzione nello studio notarile Antelami (il padre di Erminia) un cliente di antica data. Non si trattava né di un rogito né di un testamento, ma di una confessione: da molti anni il vecchio cliente dedicava le sue serate al gioco: era abituato a perdere, ma il suo notevole patrimonio gli consentiva di coltivare quel vizio senza gravi danni. Fino a una settimana prima, quando aveva incrociato una giocatrice giovanissima, imbattibile e spietata. La ragazza era entrata da poco nel giro del poker, e gli amici lo avevano avvertito di starne alla larga, ma lui, stupido, anzi morbosamente attratto, l’aveva sfidata subendo pesantissime perdite. “E chi sarebbe questa ragazza?”, chiese il notaio. “Nessuno lo sa, gioca sempre travisata perché è molto timida»

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Emanuele Zinato, Alessandro Baricco e lo Zeitgeist (Le parole e le cose)

“Criticare una voce autorevole di  Repubblica equivale tout court a essere, più o meno consapevolmente,  “di destra”?  Credo di no, anche se molto è stato fatto, in Italia, negli ultimi vent’anni perché le cose potessero sembrare proprio così…”

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Giorgio Vasta, Storie di fantasmi: “Piena”, il nuovo libro di Philippe Forest (Minima et Moralia)

«Qualunque perdita fa provare la strana sensazione di aver perso tutto insieme all’essere o all’oggetto che sono scomparsi. Sicuramente perché c’è qualcuno o qualcosa che ci manca da sempre e ogni nuova defezione ce ne ricorda l’assenza». È un ragionamento del protagonista e voce narrante di Piena, il nuovo romanzo di Philippe Forest (Fandango, traduzione di Gabriella Bosco), vincitore nel 2016 del PremioLangue Française e del Premio Franz Hessel, un pensiero che può essere considerato come il nucleo del lavoro di Forest negli ultimi vent’anni, fin da Tutti i bambini tranne uno, il suo esordio del ’97 in cui raccontava la morte di cancro di Pauline, la sua bambina.

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Le figurine di Radiospazio, Il mago, ma non tanto

Certo io non farei il mago se potessi tornare a lavorare per bene, con la tuta e i contributi. Mica è colpa mia se non mi chiamano più. Io lo so: non mi chiamano più, è inutile che aspetto. È inutile anche cercare, l’ho capito, i posti sono tutti presi da tempo. O il mago o vuotare gli appartamenti. Fare il mago non è difficile, basta osservare il verso dei capelli per sapere se uno dorme bene o preoccupato, osservare se gli balla il piede sotto la sedia. L’importante è fare una faccia impressionata mentre si legge la mano, scuotere la testa, mettere paura, insomma, dargli un’emozione in cambio di quei due soldi, e alla fine aprirsi in previsioni felici, rallegrarsi tanto. Tanto, ma senza esagerare: è un’arte, mi creda.

Galleria. Way out

Era fatta. Non credeva che ci sarebbe riuscita. Lui glielo l’aveva martellata continuamente per un anno, da quando le cose avevano incominciato a non funzionare: «Dici di volertene andare, ma sei patetica, te ne rendi conto? Non resisteresti una settimana da sola. E poi, andare dove? Da un altro? Per una come te sarebbe l’unica soluzione, ma dici che non hai nessuno. Io ti credo, sai?, e proprio per questo mi viene da ridere pensando a quello che dovresti fare. Affittare un appartamento – diciamo, più realisticamente, un monolocale – e già qui non ti ci vedo proprio in giro per agenzie, alle prese con il contratto, la caparra… A proposito, lo sai cos’è una caparra? Per non parlare poi della questione economica: con quello che guadagni, te le sogni un paio di scarpe al mese. Vedi bene che non ha senso, quindi smettiamola con queste stronzate e dormiamo, sono già le due.»
Invece era fatta, o quasi. Aveva portato con sé lo stretto necessario; il resto l’aveva lasciato nella casa in cui non sarebbe tornata: vestiti, scarpe, tutto. Le scarpe erano sessantaquattro paia. Pazienza. Per il momento le bastavano quelle che aveva ai piedi.

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Quinto Parmeggiani, Il cipiglio dell’ironia

A un anno dalla scomparsa, pubblichiamo un ricordo di Quinto Parmeggiani.

Non bisognava vederlo solo sul palcoscenico, dove proponeva una misura stralunata e impeccabile , ma anche frequentarlo dopo il teatro e lontano dal teatro. E non perché Quinto fosse uno di quei temperamenti che amano le tavolate conviviali: tutt’altro. Per dare un’idea, più volte abbiamo cenato insieme dopo lo spettacolo, ma io e lui, da soli. Aveva cura di scegliere un ristorante lontano da quello che ospitava la compagnia, perché ciò che detestava era proprio la tavolata “degli attori”, con le loro battute e il loro cicaleccio. Ciò che lo interessava era la sintonia, il dialogo, il confronto: non solo con gli esseri umani (pochi, pochissimi per volta), ma con il copione e con lo spettacolo. Il copione, soprattutto, era il suo terreno preferito, anzi il punto di partenza dal quale muovere per cercare i nessi con la letteratura, la politica, la cultura. A volte questa ricerca era sproporzionata all’oggetto in questione (il copione), ma il mestiere dell’attore impone anche questo, era così anche negli anni d’oro del teatro che Quinto visse: non si può sempre recitare Strindberg e Goldoni (con la regia di Missiroli), bisogna anche affrontare copioni più, come dire?, di pronto uso e di solido riscontro al botteghino. Quinto si sottometteva a questa dura legge del mestiere teatrale con un certo  malumore (per usare un eufemismo), che sulla scena si traduceva in uno straniamento un po’ metafisico e di una acuminata comicità, come può essere comico il disagio di un nobiluomo costretto a mescolarsi con i più trucidi abitanti della Suburra. Lo straniamento lo accompagnava anche fuori scena, ce ne si accorgeva se lo si accompagnava nella vita quotidiana: i suoi dialoghi – spontanei e tuttavia drammaturgicamente impeccabili – con gli osti, i ristoratori, le cameriere erano improntati a una teatralità asciutta, fredda, carica di ironia e soprattutto di autoironia. Gli sono grato non solo di aver lavorato con lui, ma anche di essere stato testimone, spettatore e in qualche modo complice di questo teatro dell’ironia quotidiana che pochi hanno avuto la fortuna di conoscere.