
Era inverno a Belleville, e la lastra di ghiaccio somigliava una cartina dell’Africa e copriva l’intera superficie dell’incrocio che la vecchia signora si accingeva ad attraversare trascinando con millimetrica prudenza una pantofola davanti all’altra. Con il loro avanzare strisciante le pantofole l’avevano condotta, diciamo; fino al centro del Sahara, sulla lastra a forma di Africa. Doveva ancora farsi tutto il sud, i paesi dell’apertheid e via dicendo. A meno che non tagliasse per l’Eritrea o la Somalia, ma nel canaletto di scolo il mar Rosso era terribilmente gelato. Queste considerazioni zampettavano sotto i capelli a spazzola del biondino dal loden verde che osservava la vecchia. Il biondino si chiamava Vanini, era ispettore di polizia ed era tormentato soprattutto dai problemi di pubblica sicurezza. Anzi, della “pubblica insicurezza”: le quattro anziane donne sgozzate a Belleville in meno di un mese non si erano aperte i due da sole! Bisognava tenere gli occhi aperti. D’un tratto la donna fu quasi sul punto di perdel’equilibrio. Ed ecco il giovane ispettore che posa un piede sull’Africa, avanza a grandi falcate sicure verso la vecchia. Nonscivola sul ghiaccio, lui. Ai piedi ha gli scarponi chiodati. Le fragili spalle della vecchia signora gli ricordano d’un tratto quelle della nonna, la sua, di Vanini, cui ha voluto così bene.
Si stava già preparando la frase: “Mi permetta di aiutarla, nonnina”, che avrebbe pronunciato con la gentilezza del nipotino. Era ormai a un passo da lei, e fu allora che la donna si voltò, rigida con un braccio puntato verso di lui. Come se lo indicasse col dito. Solo che in luogo del braccio e del dito, la vecchia signora brandiva una P 38 d’epoca, quella dei tedeschi, un’arma che ha attraversato il secolo senza passare neanche un filino di moda, un arnese tradizionalmente omicida.
E la vecchia premette il grilletto.
Daniel Pennac La fata carabina