Dino Buzzati, Il disco si posò (Racconto)

Era già sera quando il disco volante si posò sul tetto della chiesa parrocchiale, che sorge proprio in sommo del paese.
All’insaputa degli uomini, l’ordigno di calò giù verticalmente dagli spazi, esitò qualche istante, mandando una specie di ronzio, poi toccò il tetto senza strepito, come una colomba.
Lassù, nella sua camera, il parroco, Don Pietro, stava leggendo, col suo toscano in bocca. All’udire l’insolito ronzio, si alzò dalla poltrona e andò ad affacciasi al davanzale. Vide allora quel coso straordinario, colore azzurro chiaro, diametro circa dieci metri.
Non gli venne paura, né gridò. Rimase là, col toscano, ad osservare, finché non vide aprirsi uno sportello da cui vide uscire due strani esseri. Zitto, il prete li lasciò armeggiare col disco. Parlottavano tra loro a bassa voce, un dialogo che assomigliava a un cigolio. Poi si arrampicarono sul tetto e raggiunsero la croce, quella che è n cima alla facciata. Allora imbracciò la doppietta.
«Ehi! Giù di là, giovanotti, chi siete?»
I due si voltarono a guardarlo e sembravano un poco emozionati. Poi uno di loro parlò:
«Calmo, tra poco ce ne andiamo. Sai? Da molto tempo noi vi giriamo intorno, e vi osserviamo, abbiamo imparato quasi tutto, anche il vostro linguaggio. Solo una cosa non abbiamo decifrato. Che cosa sono queste antenne? Ne avete dappertutto, in cima alle torri, ai campanili… E poi ne tenete degli eserciti, qua e là, come se fossero dei vivai. Puoi dirmi, uomo, a cosa servono?»
Don Pietro si accorse di quanto fossero diversi da lui quei due strani esseri: «Ma sono croci!»
I due esseri si guardarono in faccia stupiti.
«Croci. E a che cosa servono?»
Don Pietro posò il calcio della doppietta a terra, ma tenendola a portata di mano: «Servono alle nostre anime. Sono il simbolo del figlio di Dio, che per noi è morto in croce.»
I due stranieri ebbero un fremito, come d’emozione. O era il loro modo di ridere.
«Beh, sarebbe una storia lunga, forse troppo lunga per dei sapienti come voi.»
Gli stranieri espressero il desiderio di conoscerla, e il parroco li invitò in canonica. Fu certo una scena straordinaria, nella camera del parroco, lui seduto allo scrittoio con la Bibbia in mano e i due extraterrestri in piedi, perché non erano capaci di sedersi.
«Ecco, ascoltate, così forse vi chiarite le idee: “L’Eterno Iddio prse dunque l’uomo e lo pose nel giardino dell’Eden e diede questo comandamento: Mangia pure liberamente del frutto di ogni albero, ma del frutto dell’albero della conoscenza del bene edel male non ne mangiare: perché nel giorno che ne mangerai, per certo sarà la tua morte…”»
Levò gli occhi dalla pagina e si accorse che i due stranieri erano estremamente agitati.
«… E voi invece l’avete mangiato, vero? Adesso ho capito com’è andata la storia.»
Don Pietro sentì il sangue montargli alla testa: «Sì, certo, ne mangiarono. Ma avrei voluto veder voi. È forse cresciuto in casa vostra l’albero del bene e del male?»
Gli stranieri si guardarono come se fosse scandalizzati: «Certo che è cresciuto anche da noi. Ed è ancora lì , bello verde. Ma noi non abbiamo mai mangiato quei frutti, perché la legge lo proibisce.»
Don Pietro ansimò, umiliato. Allora quei due erano puri, simili ad angeli del cielo, non conoscevano peccato, non sapevano che cosa fosse cattiveria, odio, menzogna. Il prete non parlò, si limitò a fare un gesto con la mano, come per dire: che vuoi? siamo fatti così, peccatori siamo, poveri vermi peccatori… e qui cadde in ginocchio, coprendosi la faccia con le mani.
Quanto tempo passò? Ore, minuti?
«Uomo, che stai facendo?»
Alla voce degli ospiti Don Pietro si riscosse.
«Che sto facendo? Prego. E voi no? Dio non lo pregate mai?»
Adesso gli stranieri sembravano davvero stupiti: «Ma no, perché dovremmo?»
E si allontanarono scuotendo la testa. Ritornarono al disco e avviarono il motore. Piano piano, quasi per miracolo, il disco si staccò dal tetto, prese a girare su se stesso e partì a velocità incredibile in direzione dei Gemelli.
Don Pietro aveva seguito le fasi della partenza, brontolando fra sé: «Poveracci, voi non avete il peccato originale… galantuomini, sapienti, incensurati… Il demonio non lo avete  mai incontrato… Ma Dio preferisce noi di certo! Meglio dei porci come noi… avidi, turpi, mentitori, che quei primi della classe che non gli rivolgono mai la parola.  Che soddisfazione può avere Dio da gente simile? E che significa la vita se non c’è il male, e il rimorso, e il pianto?»
Per la gioia, imbracciò lo schioppo, miro al disco volante che era ormai un puntolino pallido in mezzo al firmamento, lasciò partire un colpo. E dai remoti colli rispose l’ululio dei cani.

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