https://www.youtube.com/watch?v=JKesrhqYpUQ
Forse qualcuno se ne ricorda, anche solo per sentito dire. Era il 22 novembre del 1968. Un 33 giri completamente bianco, senza titolo né altre scritte tranne il nome del gruppo, in rilievo, che doveva dir tutto e finiva per non dir niente. Che cosa voleva comunicare quel candore inedito, purezza? Oppure lutto, come in Cina e in India? (In quello stesso anno, i quattro idoli avevano per l’appunto soggiornato tre mesi in India frequentando il santone Maharishi). Su quel non dire bianco scivolavano le congetture e le inquietudini dei fan e degli esegeti: era una morte spirituale? una rinascita? una beffa? un espediente del marketing? Quasi mezzo secolo più tardi, un artista concettuale, Rutherford Chang, se ne pone un’altra, di natura affatto diversa: che ne è stato di quelle cover immacolate? Forse nel mondo ci sono oggi questioni più urgenti ma non è compito di un artista concettuale agire sul presente. Con pazienza, Chang incomincia a dare la caccia a quei cimeli e li espone, li ricompone in pannelli, in sequenze; è un viaggio nel tempo e nella caducità delle cose: in mezzo secolo quei bianchi feticci sono diventati pezzi di cartone giallastri costellati di macchie di caffè, ditate, appunti: graffiti di vite anonime che irrompono nel bagliore del mito.
Sull’argomento, un bell’articolo di Pietro Scarnera, Sporcare il White Album
http://www.doppiozero.com/materiali/glittering/sporcare-il-white-album