Questo è il monologo interiore (ma funzionerebbe benissimo come monologo tout court sul palcoscenico) di una ragazza che aspetta la telefonata del fidanzato; il tempo ha steso una patina sottile sul racconto – oggi una ragazza non starebbe a far la sentinella accanto a un telefono fisso (e muto): botmbarderebbe lo svanito giovane con sms, WhatsApp, email e intanto andrebbe a cercarlo. Ma l’angoscia dell’attesa e la sindrome dell’abbandono sono trappole che scattano ancora oggi così come negli anni Quaranta quando Dorothy Parker scrisse questo racconto dal sapore agrodolce, condito con una salsina d’ironia che s’accompagna perfettamente al tragicomico celato in ogni atto amoroso.
Ti prego, Dio, fai che ora lui mi telefoni. Non ti chiederò nient’altro, davvero. Fai solo che ora mi telefoni. Ti prego, Dio. Ti prego, ti prego, ti prego.Se non ci pensassi, forse il telefono potrebbe squillare. Forse se contassi per cinque fino a cinquecento, quando arrivo in fondo potrebbe squillare. Conterò lentamente. Non barerò. 5, 10, 15, 20, 25, 30, 35, 40, 45, 50…
Oh, ti prego, squilla. Ti prego.
Sono le sette e dieci. Ha detto che avrebbe telefonato alle cinque.
Quasi quasi gli telefono io. No, non devo. Non devo, non devo. Oh, Dio, ti prego, fai che non gli telefoni. Fai che mi resti un po’ d’orgoglio.
Penserò a qualcos’altro. Me ne starò qui seduta buona buona. Non c’è niente per cui si ci debba agitare tanto. Senti. Metti che fosse qualcuno che non conosco bene. Metti che fosse un’altra ragazza. In tal caso telefonerei, semplicemente, e direi: «Be’, perdiana, che ti è successo?». È così che farei, e non ci penserei neanche un istante. Perché non posso essere disinvolta e naturale, semplicemente perché lo amo? Certo che posso esserlo. Lo chiamo, e sarò del tutto naturale e piacevole. Vedrai se non lo sarò, Dio. Oh, non permettere che lo chiami. Non permetterlo, non permetterlo, non permetterlo.
Dio, davvero non mi permetti di chiamarlo? Non potresti cedere? Non ti chiedo neppure di lasciarmelo chiamare quest’istante, Dio: lascia soltanto che lo chiami fra un po’. Conterò per cinque fino a cinquecento. Davvero, lo farò lentamente, senza trucchi. Poi, se non avrà telefonato, lo chiamo. Sì, lo chiamo. Oh, ti prego, Dio caro, Dio caro e gentile, Padre mio benedetto lassù in Cielo fai che lui mi chiami prima. Ti prego, Dio. Ti prego.5, 10, 15, 20, 25, 30, 35…
Dorothy Parker, Una telefonata
“Scrittori ebrei americani”, Bompiani. traduzione Mario Materassi
1 commento su “Il silenzio corre sul filo. DOROTHY PARKER, UNA TELEFONATA”